Testimonianze

Riportiamo qui il testo di alcune interviste effettuate da Franco Bagnoli per la trasmissione RadioMoka in onda su Nova Radio

F: Siamo qui in Barcellona per il kick-off meeting del progetto INSPIRES e di fronte a me c’è Gerard Straver, che è il coordinatore del Science Shop di Wageningen University and Research. Gerard, Puoi introdurti e raccontarci cosa fai?

G: Ho studiato agrotecnologia ma poi mi sono occupato di sviluppo e cooperazione internazionale, sempre nel campo dell’agricoltura, e dopo anni di lavoro in Francia e in Tailandia sono tornato in Olanda e ho trovato lavoro a Wageningen.

F: Puoi raccontarci cos’è per te un science shop?

G: Un science shop è una organizzazione a rete dove studenti, ricercatori e associazioni di cittadini, insieme a figure politiche e del mondo imprenditoriale, cercano di trovare insieme delle risposte a domande che provengono dalla società civile, come migliorare e cambiare l’esistente.

F: Puoi darci degli esempi di questa attività?

G: Per esempio, ci ha contattato un uomo anziano che era il presidente di una associazione di Utrecht che gestiva un orto sociale, ma il comune voleva costruire delle case su questo terreno. Così l’associazione ci ha contattato chiedendoci di aiutarli dicendo che l’associazione contribuiva molto alla società. Noi abbiamo cominciato a lavorare sul problema con alcuni studenti e abbiamo mediato tra l’associazione e il comune. Abbiamo concluso che effettivamente il comune poteva risparmiare l’orto sociale ma che anche l’associazione avrebbe dovuto cambiare la loro struttura, cosa che è successa dopo molti contrasti interni, e alla fine hanno deciso di aprirsi a altre persone. Dopo questa ricerca, abbiamo ricevuto molte altre domande di tipo simile, e anche di comuni che hanno scoperto l’utilità di queste associazioni territoriali. E ovviamente tutto ciò è stato molto interessante per i nostri studenti.

F: Si può concludere che non si può andare da un science shop senza essere disposti a mettersi in discussione?

G. Sì, certo. A volte ci sono organizzazioni che vengono a un science shop avendo in mente già la risposta, ma devono capire che le ricerche si fanno per trovare la risposta, non per confermarne una.

F. Questa è una lezione molto interessante. Quanti siete nella vostra organizzazione?

G: Quando siamo partiti eravamo un team, con un presidente, tre persone e una segretaria, ma poi il presidente dell’università decise di chiudere il science shop perché costava troppo, non era efficiente, e perché reputava che non fosse interessante per l’università. Io allora domandai un parere indipendente da parte di una commissione, che invece disse che il servizio era importante, ma che andava ristrutturato. Allora ho cambiato tutto, adesso ci sono solo io come staff permanente, ma ho l’appoggio di tutta la comunità dei professori per gestire i progetti. Quindi adesso ci sono 30-40 persone che lavorano, part-time, per il science shop, perché reputano che le domande che vengono dalla società sono interessanti per loro e per gli studenti.

F: Chi è che svolge effettivamente la ricerca? Gli studenti o direttamente i ricercatori?

G: Devono essere obbligatoriamente gli studenti, questa è la sfida, ma sono supervisionati dai ricercatori. Gli studenti non sono pagati ma ricevono crediti, i professori e i ricercatori sono “pagati” tra virgolette perché hanno l’obbligo di supervisionare gli studenti. L’unica persona pagata direttamente per questo lavoro sono io. Certo, ci possono essere dei costi per svolgere la ricerca, e a volte succede che il lavoro fatto dagli studenti non sia sufficiente e che vada completato direttamente dai ricercatori.

F: Gli studenti fanno il lavoro all’interno di un corso, oppure per il tirocinio o per la tesi?

G: Tutto è possibile, abbiamo esempi di tutti i tipi, ci sono corsi adatti ad ospitare il lavoro degli studenti, e poi ovviamente ci sono i tirocini.

F: Per riassumere, quale è il tuo suggerimento per chi, come noi, vorrebbe mettere su un nuovo science shop?

G: Direi che dovete cercare di trovare persone nell’università che hanno voglia di collaborare, e delle associazioni che hanno voglia di interagire, iniziare con pochi progetti e portarli fino in fondo, e poi raccontare quello che viene fuori per farsi un po’ di pubblicità, usare i progetti terminati esempi per attrarre più persone.

F: Ci sono studenti che lavorano a tempo pieno per il science shop?

G: No, coi piacerebbe ma non ci sono per ora.

F: E come comunicate il risultato alla società civile? Usate articoli, siti web, incontri con la popolazione?

G: Un po’ di tutto. Quando una ricerca inizia, io raccomando sempre agli studenti, ai ricercatori e alle associazioni di pensare da subito alla comunicazione: perché si fa la ricerca, quali impatti potrebbe avere. Bisogna che ci siano delle domande chiare, se non ci sono la ricerca non si fa. La ricerca dev’essere una cosa seria. Ci sono organizzazioni di tutti i tipi, grandi e piccole, ma a volte alcune di loro sono molto attive nella comunicazione e raggiungono molte persone. Per esempio, l’associazione degli orti sociali aveva in mente il comune come nemico, ma da subito ci siamo posti l’obiettivo di farli parlare tra loro, abbiamo scritto il rapporto finale in maniera molto semplice, solo 10 pagine, e abbiamo organizzato degli incontri tra le parti e la stampa cercando di mettere il tutto su un piano scientifico. Abbiamo detto loro che non vogliamo soldi, ma vogliamo ottenere dei risultati, e vogliamo che questi risultati servano a qualcosa.

F: Quali aree di ricerca coprite?

G: Abbiamo tanti interessi. Dei ricercatori studiano temi relativi alla salute sociale, altri su come affrontare problemi della società, problemi di nutrizione, agricoltura, salute degli animali, problemi ambientali. Noi trattiamo solo domande che riguardano temi coperti dai nostri ricercatori, se arrivano problemi a cui non possiamo rispondere li indirizziamo ad altri science shop.

F: Quindi avete una rete di contatti?

G: Certo, abbiamo una rete che collega i vari science shop. È molto importante stabilire e mantenere questa rete.

F: Grazie Gerard, il tuo contributo sarà molto importante per noi.

F: Ciao Marjolein, sei la coordinatrice del Science Shop di Amsterdam, giusto?

M: Si, giusto, sono anche professore di innovazione e educazione delle scienze della vita.

F: Quindi tu insegni innovazione...

M: Si, e sono la direttrice del programma dei Science Shops, per quanto riguarda le scienze gestionali e della vita.

F: Ci puoi descrivere come funzionano i science shop di Amsterdam? So che sono un po’ diversi da quelli di Lione e Wegeningen, di cui parleremo in altre occasioni.

M: Si, da noi abbiamo una serie di corsi legati ai problemi della società che hanno una parte teorica e una parte pratica , e nella parte pratica gli studenti devono applicare la parte teorica. Per esempio, nel corso di analisi delle politiche di governo, gli studenti devono riuscire a stabilire quale schema di comportamento sia il migliore per svolgere una azione che può venire da un committente che può essere un ministero ma anche da una organizzazione civile. Abbiamo due corsi magistrali seguiti da circa un centinaio di studenti che svolgono i loro progetti per la società. Ogni progetto dura circa 5 mesi.

F: Quindi voi raccogliete le domande dalla società e durante i corsi vengono analizzate e poi, se ho capito bene, durante il tirocinio svolgono la ricerca.

M: Sì, e la ricerca deve essere svolta da soli, così imparano a fare ricerca sul campo.

F: E so che le ricerche non vengono svolte solo ad Amsterdam, ma anche in posti molto lontani.

M: Si, abbiamo molte cooperazioni internazionali, per esempio con l’africa, con l’Asia, possono essere organizzazioni non governative o governi, in genere da paesi in cui si parla inglese.

F: Ma quanti siete, puoi darci qualche numero?

M: Lo staff delle persone coinvolte in questi progetti è di 17 professori e abbiamo circa 300 studenti tra laurea triennale e magistrale, più qualche phd.

F: E come fate a fare tutto questo senza fondi diretti? Perché so che non avete dei finanziamenti specifici.

M: Noi siamo pagati per supervisionare i corsi e i tirocini, e quindi in un certo senso siamo pagati, abbiamo scelto di svolgere i corsi rispondendo ai problemi della società includendo queste materie nei progetti. Ovviamente a volte ci sono dei progetti pagati, per esempio dei progetti europei. Gli studenti sono molto motivati, e svolgono volentieri le ricerche.

F: Siete collegati con altre strutture , altri science shop?

M: Si, la rete Living Knowledge, rete finanziata da un progetto europeo, a cui appartengono molte altre università che investono parecchio in questa visione.

F: Credo che il vostro esempio possa essere molto istruttivo per Firenze, dato che penso che neppure noi avremo molti soldi da investire.

F: Buongiorno Davy.

D: Buongiorno Franco.

F: Voi avete già un science shop, la boutique des science, a Lione. Da quanti anni sta funzionando?

D: Sono 6 anni che l’iniziativa è partita e il lancio ufficiale c’è stato 4 anni fa. Abbiamo cominciato con un progetto pilota, è il consiglio che diamo a tutti i science shop che vogliono cominciare: iniziate con un progetto ambizioso ma che non sia troppo difficile da portare a compimento, con dei partner affidabili. Per noi questo progetto si è svolto tra il 2010 e il 2013 e ha permesso di farci conoscere.

F: Puoi descrivere qualche progetto?

D: Noi siamo partiti con due domini prioritari: l’ambiente e la salute. Il primo ha riguardato lo sviluppo di nuove tecniche per la salute, che è anche un campo che interessa molto le persone e anche il nostro progetto INSPIRES. Si è trattato di aumentare l’attenzione verso le persone malate di Alzheimer, in un contesto in cui la diagnosi di questo male riguarda persone sempre più giovani. Al giorno d’oggi ci sono persone di 40 anni a cui viene diagnosticato l’Alzheimer. Persone che hanno figli adolescenti, e quindi non si può applicare il tipo di aiuto che conosciamo verso le persone anziane.

Si è trattato di un progetto difficile da gestire perché il contesto era molto delicato e avevamo a che fare con molta sofferenza, mentre l’altro progetto era molto più tranquillo e consensuale: progettare una fattoria pedagogica nel centro di Lione, dove ci sono ancora degli spazi liberi. Abbiamo reclutato un sociologo, uno studente di laurea specialistica in sociologia, per studiare quale potrebbe essere stata la reazione degli abitanti del quartiere all’idea di avere degli animali tra loro, se avevano paura di malattie, o se erano disgustati dall’idea degli odori. Invece i cittadini ci hanno detto che il progetto sarebbe stato molto interessante per i loro bambini, che avrebbe arricchito la loro esperienza. Il progetto è stato di successo e probabilmente tra qualche anno avremo una fattoria pedagogica nel centro di Lione.

F: Ci puoi raccontare come funzionano i progetti? Come fanno i cittadini a proporre un problema? Come fate a decidere quali accettare?

D: C’è il sito dell’università di Lione che permette alle associazioni di cittadini di presentare un progetto, poi c’è la rete dei contatti informali attraverso il passaparola, infine organizziamo degli incontri pubblici, che sono quelli che funzionano meglio, perché la gente così capisce cos’è la ricerca partecipativa e come l’università e i ricercatori possono essere utili per le piccole associazioni, per rassicurarli. In questa maniera si fanno emergere i bisogni, possiamo valutare la nostra attività e possiamo sviluppare nuovi modelli economici. L’incontro è utile anche a noi per orientarci nella sfera dei problemi legati alla salute e all’ambiente e avere un’idea delle associazioni presenti nel territorio.

F: E come reagiscono gli studenti? Si fanno avanti?

D: Si, in realtà il problema non sono gli studenti ma piuttosto ricevere domande dal sociale, dai cittadini. Le associazioni a volte sono spaventate dal fatto che la ricerca implica un loro coinvolgimento, per un periodo che può essere anche un anno. Con gli studenti non ci sono mai stati problemi, non è mai successo che non ci fossero studenti per portare avanti una ricerca. Dopo sei anni vediamo un’evoluzione molto positiva per gli studenti, che si rendono conto di essere utili per la l’ambiente e per problemi legati alle scienze sociali. Soprattutto per quest’ultimo tema ci sono molti studenti, circa un terzo di quelli iscritti a scienze sociali. Per i ricercatori c’è un po’ meno coinvolgimento, all’incirca dell’ordine di un quarto, un quinto dei ricercatori totali, ma è sufficiente per fare quello che dobbiamo fare.

F: Il vostro sportello della scienza non è fatto solo dall’università, giusto? Chi sono gli altri partecipanti?

D: Questa è l’originalità del nostro science shop, facciamo parte di un servizio “scienza e società”, siamo al centro di una comunità a cui partecipano le varie università generaliste, ma anche i politecnici e le scuole d’arte, e questo ci permette di coprire tutte le discipline possibili, e quindi di rispondere ai bisogni che sono in effetti molto vari.

F: Grazie, Davy, per averci offerto questo quadro esaustivo dello sportello della scienza di Lione.

Colombe, Warin, European Commission Project Officer

F: Ciao Colombe, puoi raccontarci qual è il tuo lavoro alla comunità europea?

C: Io sono un project officer per la Commissione Europea, il che vuol dire che sono responsabile per seguire il funzionamento dei progetti, in particolare questo qui InSPIRES, ma anche altri progetti della stessa chiamata Science with and for Society, e quindi seguirò questo progetto a partire da questo incontro oggi a Barcellona per i 48 mesi che costituiscono la sua durata, con i vari partner del progetto.

F: Ci puoi raccontare quale è lo scopo ultimo del programma di Science with and for Society?

C: Questo programma riguarda molti aspetti che hanno a che fare con la scienza, la ricerca e le loro ricadute e interazioni con la società. In particolare, in questo caso abbiamo a che fare con i science shop, e InSPIRES è uno dei due soli progetti che sono stati approvati in questa chiamata, il che dimostra che si tratta di un progetto eccellente.

F: Ci sono stati altri progetti approvati in passato sullo stesso tema?

C: Sì, in effetti ogni anno prepariamo delle chiamate nel quadro di science with and for the society, e quindi ce ne sono stati molti altri, come EnRRICH, RRi-tools, RRi-practice

F: PERARES…

C: Certo, e sono dei progetti che noi continuiamo a seguire anche dopo che sono terminati, perché i progetti attuali utilizzano i concetti sviluppati da quelli precedenti, perciò ogni progetto contribuisce con i suoi risultati a quelli futuri, e quindi la grande famiglia dei progetti RRI, ovvero Responsible Research and Innovation, continua a crescere.

F: Ci puoi illustrare velocemente quale è il concetto che sta dietro all’idea della ricerca e dell’innovazione responsabile?

C: La Comunità Europea ha cercato di dare una definizione che sia molto ampia e orientata al processo, piuttosto che cercare una catalogazione statica, un modello fisso. Vogliamo quindi identificare dei concetti chiave caratterizzanti i processi. Uno di questi concetti che per me è molto importante per il progetto InSPIRES si chiama “public engagement”. Un altro di questi concetti riguarda le problematiche di genere, un altro l’etica, in effetti si tratta di un insieme di nozioni che riguardano la ricerca in maniera piuttosto traversale, e che permettono di connettere in maniera migliore la scienza e la società, e quando parlo della società non intendo solo la società civile, ma mi riferisco proprio ai cittadini. Penso che questo sia un aspetto particolarmente interessante, perché per esempio nel vostro caso i science shop hanno come scopo finale proprio quello di dare un servizio ai cittadini europei, ai cittadini locali, e a quelli del proprio paese. Si tratta comunque di evitare di lavorare solo per i propri colleghi o solo per l’ambiente della ricerca.

F: Si può dire che lo scopo della commissione europea sia quello di mescolare i cittadini e i ricercatori?

C: Certamente, e di farlo in maniera pratica. Ci attendiamo molto dal progetto InSPIRES.

F: Ma parliamo un po’ di te. Come si vive a Bruxelles? Immagino che sia una città che sembri poco attiva per una persona che viene dalla Francia come te.

C: Io vengo da Parigi, ma abito da circa 15 anni a Bruxelles, e devo dire che è una città molto più piovosa che per esempio Barcellona. Il cielo blu non è molto frequente. Ma si tratta comunque di una città cosmopolita in cui è piacevole vivere. Inoltre io vivo in un ambiente molto internazionale, interagisco con persone di altri 27 paesi, ma anche nella vita di tutti i giorni si incontrano persone di tutti i generi, non è una città che vive solo della Comunità Europea, è anche molto viva dal punto di vista culturale, c’è molta offerta teatrale, cinema. Devo dire che a parte il clima la vita è molto piacevole a Bruxelles.

F: E com’è il clima nella Commissione Europea, adesso che il concetto di Europa è un po’ in crisi, e sono sorti i problemi legati per esempio alla Brexit?

C: Devo dire che il 23 giugno 2017, il giorno del referendum sulla Brexit, è stato un vero shock, nessuno se l’aspettava, questa giornata resterà tra quelle più difficili della Commissione Europea perché si tratta del primo caso in cui un paese ha deciso di lasciare l’Unione Europea. Oggi, dopo che sono passati dieci mesi, e nel momento in cui la discussione effettiva sta cominciando, considerando i resultati delle ultime elezioni nei Pesi Bassi con l’arretramento degli estremisti, e di quelle francesi con la vittoria di Macron che è un europeista convinto, penso che l’Europa riuscirà a rispondere in maniera efficace, senza nascondersi ma ascoltando i problemi che hanno portato a questo voto inglese, il che vuol dire anche spiegare meglio quello che fa l’Europa Io penso che progetti come quello sulla ricerca e l’innovazione responsabile, e anche InSPIRES, possano servire a mostrare effettivamente quello che l’Europa sta facendo per i propri cittadini, e forse anche fornire un valore aggiunto per il futuro. Almeno spero.

F: Bene, molte grazie e spero che ci rincontreremo in futuro, magari in un altro meeting del progetto InSPIRES.